Fertilità e terapie per sconfiggere il cancro

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Fertilità e terapie per sconfiggere il cancro1

Ogni giorno in Italia sono diagnosticati almeno trenta nuovi casi di tumore in pazienti di età inferiore ai 40 anni, pari al 3% della casistica generale (364.000 nuovi casi nel 2012 – stima AIRTUM: Associazione italiana dei registri tumori). Su un totale di 254.979 nuovi iscritti nei Registri Tumori nel 2010, i pazienti al di sotto dei 40 anni sono 7.828,  con netta  prevalenza per il sesso femminile (4.897donne vs.2.931 uomini). 
Chemioterapia, radioterapia e terapie biologiche per sconfiggere il cancro hanno migliorato significativamente la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumori, ma la possibile comparsa di sterilità o d’infertilità secondaria a questi trattamenti e il disagio  psico-sociale ad essa legato, sono temi di importanza crescente, anche a causa dello spostamento in avanti dell’età alla prima gravidanza nei paesi occidentali. 
In Italia la percentuale di gravidanze registrate in donne oltre i 35 anni è passata dal 12% nel 1990 al 16% nel 1996 ed è stato stimato che sarà pari al 25% nel  2025. Un recente studio australiano ha evidenziato come il timore di sterilità secondaria non sia strettamente legato a un progetto concreto di procreazione, ma abbia più ampiamente a che fare con la sfera profonda dell’identità sessuale nel suo complesso. Poiché l’obiettivo delle cure oncologiche è quello di sconfiggere il cancro e di  aumentare la durata della vita, conservandone la qualità, e la conservazione della capacità procreativa è parte integrante della qualità di vita, tutti i pazienti con diagnosi di tumore in età riproduttiva devono essere adeguatamente informati del rischio di riduzione/perdita della fertilità come conseguenza dei trattamenti antitumorali e, al tempo stesso, devono essere informati sulle strategie disponibili per ridurre tale rischi.  

La tutela della fertilità è un traguardo da raggiungere per i pazienti oncologici attraverso protocolli personalizzati tali da mantenere la funzione riproduttiva, senza tuttavia comprometterne l'efficacia della terapia antitumorale. Il successo di un programma integrato di preservazione della fertilità si basa su ambiti fondamentali quali informazione, ricerca e multidisciplinarietà. La preservazione della fertilità in oncologia è però anche una sfida culturale, che impegna sempre più medici e pazienti e richiede conoscenza, consapevolezza e corretta comunicazione per fornire al paziente un counselling dedicato e l’invio ai Centri di Preservazione della Fertilità.

Diventare genitori dopo il cancro1

Un numero sempre maggiore di coppie si rivolge ai Centri di Medicina della Riproduzione per problemi di infertilità dopo che uno dei due partner è stato sottoposto a trattamento per sconfiggere il cancro. Oltre ai casi in cui ci sono fattori di infertilità indipendenti dal trattamento chemio/radioterapico, quali problemi anatomici pre-esistenti, la principale causa della ridotta fertilità in queste coppie deriva dagli effetti tossici sulle gonadi delle terapie. 

Per quanto riguarda i giovani pazienti maschi, ad eccezione di quelli che hanno un tumore ereditario, non ci sono evidenze che l'aver avuto il cancro possa aumentare il rischio di anomalie congenite o di cancro nei loro figli, o che questo rischio possa essere collegato alle cure effettuate. Allo stato attuale, i pazienti di sesso maschile dovrebbero essere informati che non è possibile escludere un modesto aumento del rischio di danno genetico nel seme crioconservato, cioè conservato a bassissime temperature, di norma a -196 °C, in azoto liquido,  dopo la diagnosi di cancro o all’inizio delle terapie antitumorali. Non esistono, invece, evidenze di un maggior rischio di eventi avversi con l’utilizzo di seme così conservato  piuttosto che fresco, almeno nella popolazione non oncologica. 

Per quanto riguarda le giovani pazienti donne, due sono le preoccupazioni principali: i possibili effetti nocivi dei pregressi trattamenti antitumorali su una futura gravidanza e le conseguenze che la gravidanza possa avere sulla paziente stessa, in particolare se si tratta di neoplasie sensibili agli ormoni.

Riguardo al primo punto, i pochi dati disponibili non dimostrano un aumento del rischio di difetti genetici, o di altro tipo, nei nati da donne in precedenza sottoposte a terapie antineoplastiche. La maggior parte dei dati disponibili proviene da donne trattate per sconfiggere il cancro alla mammella. Secondo i dati, si osserva un tasso di aborto relativamente più alto (20-44%) rispetto a quello della popolazione non trattata. E’ quindi consigliabile un monitoraggio più attento della gravidanza in donne in precedenza trattate rispetto a quanto si faccia nella popolazione generale. Si sono recentemente resi disponibili i dati di un altro studio danese che ha considerato 472 pazienti sopravvissuti al cancro e sottoposti per la malattia a radioterapia e/o chemioterapia e le rispettive 1.037 gravidanze. Non è stata evidenziata l’eventuale comparsa di malattie genetiche nella prole. Dovrebbe quindi ritenersi definitivamente caduta la storica controindicazione alla gravidanza nelle pazienti con precedente carcinoma  mammario, sebbene non si conosca ancora l’intervallo ideale tra il termine dei trattamenti antiblastici precauzionali e il concepimento.

Rischio di infertilità correlato ai trattamenti antitumorali1

L’infertilità è definita come l’incapacità di concepire dopo un anno di rapporti sessuali non protetti.

I trattamenti oncologici per sconfiggere il cancro sono associati a un elevato rischio d’infertilità che può essere transitorio o permanente. La percentuale d’infertilità iatrogena, cioè conseguente alle terapie praticate, è variabile e dipende da diversi fattori: classe e dose dei farmaci impiegati in caso di chemioterapia, estensione e sede del campo d’irradiazione, dose erogata e suo frazionamento in caso di radioterapia, ma anche età e sesso del paziente e storia di precedenti trattamenti per infertilità. Inoltre, l'infertilità maschile può essere secondaria alla malattia stessa, per esempio neoplasie del testicolo o linfoma di Hodgkin, oppure potrebbe derivare da un danno anatomico (eiaculazione retrograda o aneiaculazione), a insufficienza ormonale e a esaurimento delle cellule staminali germinali (da cui originano gli spermatozoi). Gli effetti che si possono osservare sono rappresentati dalla riduzione del numero di spermatozoi nell’eiaculato, della loro motilità e morfologia, dell’integrità del DNA di cui sono vettori. L’epitelio germinale del testicolo, dal quale originano gli spermatozoi, nell’adulto è più sensibile al danno da chemioterapia rispetto a quello dell’epoca prepuberale e, in caso di danno, la possibilità di una ripresa dell’attività gonadica, cioè della produzione degli spermatozoi, aumenta con il tempo intercorso dalla fine del trattamento.  

Nelle donne, invece, dalla nascita le ovaie contengono un patrimonio di follicoli primordiali, immaturi. Questi follicoli contengono ciascuno un ovocita immaturo: una parte di questi follicoli iniziano la loro crescita,  la cosi detta follicologenesi, che finirà con la morte dell’ovocita o con l’ovulazione, il processo con cui l’ovocita lascia il follicolo. Questo si ripete per ogni ciclo mensile, sino all’esaurimento con la menopausa. 
Nelle donne, la fertilità può essere compromessa da qualsiasi trattamento che riduca il numero dei follicoli primordiali ovarici, che modifichi l'equilibrio ormonale o che interferisca con il funzionamento delle ovaie, delle tube, dell’utero o del collo dell’utero. Ad esempio, cambiamenti anatomici o della vascolarizzazione a carico delle strutture genitali, conseguenti a chirurgia e/o radioterapia, possono impedire il concepimento naturale e il successo della gravidanza, anche in presenza di funzione ovarica conservata e richiedere l’ausilio di tecniche di riproduzione assistita. E’ importante sottolineare come la fertilità femminile possa essere compromessa anche nei casi in cui viene conservato il normale andamento mensile del ciclo mestruale. Ad esempio, una qualsiasi diminuzione della riserva ovarica può tradursi in minori chances di concepimento e in un maggior rischio di menopausa precoce: in altre parole, anche se le donne sono inizialmente fertili dopo i trattamenti antitumorali, la durata della loro fertilità può essere abbreviata. Bassi valori nel sangue dell’ormone anti-mulleriano (AMH) pre-trattamento possono predire una maggior probabilità di perdita di funzione ovarica.  Predire quale sia l’effetto del singolo trattamento sulla fertilità del singolo paziente è molto difficile perché esiste un’elevata variabilità  individuale. In ambito femminile, sono le pazienti con età superiore a 35-40 anni a essere le più suscettibili: le ovaie di pazienti più giovani, infatti, possono sopportare dosi maggiori di farmaci citotossici.

Tecniche di preservazione della fertilità1

Le principali strategie d’intervento per preservare la fertilità sono:

Per la donna

  • crioconservazione degli ovociti
  • crioconservazione del tessuto ovarico (ancora sperimentale)
  • somministrazione di analoghi LH-RH
  • terapia chirurgica conservativa
  • trasposizione ovarica prima della radioterapia

Per l’uomo

  • crioconservazione del liquido seminale
  • crioconservazione di spermatozoi prelevati mediante aspirazione testicolare o dell’epididimo

Preservazione della fertilità nella donna

L'entità del danno delle terapie antitumorali per sconfiggere il cancro alla capacità riproduttiva femminile è variabile e dipende dall'età della paziente, dal tipo di trattamento, dalla dose cumulativa somministrata e dalla dimensione iniziale della riserva follicolare ovarica. La riserva ovarica è la potenzialità funzionale dell’ovaio data dal numero e dalla qualità degli ovociti in un dato momento. La riserva ovarica è dipendente dall’età, dall’esposizione ad altri fattori tossici per l’ovaio (fumo, interventi chirurgici etc.) e dal patrimonio follicolare individuale. La riserva ovarica può quindi essere ridotta rispetto all’età anche prima dell’inizio di terapie tossiche per l’ovaio.

Le attuali strategie proposte per preservare la fertilità nella donna affetta da neoplasia sono rappresentate da:

  • Trasposizione ovarica (ooforopessi):

Consiste nello spostare chirurgicamente le ovaie il più lontano possibile dal campo di irradiazione e può essere offerta alle pazienti che devono essere sottoposte ad irradiazione pelvica. L’età della paziente influenza il successo della metodica per cui non è indicato eseguire la trasposizione ovarica per preservare la fertilità dopo i quarant’anni. Le indicazioni a tale tecnica dipendono fortemente dal tipo di neoplasia da trattare e dal tipo e dose del campo di irradiazione pelvica.

  • Crioconsevazione del tessuto ovarico:

Si tratta di prelevare un frammento di ovaio e crioconservarlo per reimpiantarlo dopo la fine delle terapie.                               È  una tecnica che offre importanti prospettive per preservare sia la funzione riproduttiva sia l’attività ormonale. Può essere eseguita in qualsiasi momento del ciclo mestruale, permettendo quindi di evitare il ritardo nell’inizio del trattamento chemioterapico, ma ha bisogno di un intervento chirurgico laparoscopico per il prelievo di frammenti di ovaio. È  indicata in donne con età inferire a trentotto anni con riserva ovarica adeguata. È  da sottolineare tuttavia che si tratta di una tecnica ancora sperimentale.

  • Crioconservazione ovocitaria:

È indicata in pazienti che hanno la possibilità di rinviare il trattamento chemioterapico di 2-3 settimane e che hanno una riserva ovarica adeguata per il recupero di un numero sufficiente di ovociti. Rappresenta un’importante strategia di preservazione della fertilità per prevenire l’infertilità conseguente ai danni delle terapie antineoplastiche.

  • Utilizzo di LH-RH analoghi in concomitanza a chemioterapia:

Questi farmaci riducono la tossicità ovarica della chemioterapia che colpisce maggiormente i tessuti con rapido ricambio cellulare. La somministrazione cronica di LH-RH (ormone di rilascio dell’ormone luteinizzante), riducendo la secrezione di FSH (ormone follicolo stimolante), sopprime la funzione ovarica e potrebbe quindi proteggere le ovaie dall’effetto tossico della chemioterapia adottata per sconfiggere il cancro.

 Preservazione della fertilità nell'uomo1

La crioconservazione degli spermatozoi preserva la fertilità in tutte quelle situazioni in cui, per la patologia o le terapie, si rilevi un rischio d’infertilità. Tale metodologia permette di mantenere le cellule e i tessuti a temperatura -196 °C, in azoto liquido, per un tempo indefinito. Al contrario della donna, nell’uomo la protezione gonadica attraverso la manipolazione ormonale non risulta efficace. A differenza di quanto succede nella donna, nell’uomo il ricorso a queste tecniche, se adeguatamente programmato, non comporta un ritardo nell’inizio del trattamento per sconfiggere il cancro.

In conclusione, è importante affrontare questo argomento con il proprio oncologo di rierimento, che possiede le competenze per stimare il rischio d’infertilità per ciascun trattamento e valutare quando tale rischio sia sufficientemente elevato da dover ricorrere alla conservazione dei gameti prima dell’inizio delle terapie. In quest’ultimo caso, è indispensabile offrire ai pazienti un percorso privilegiato e rapido per la crioconservazione degli spermatozoi o degli ovociti/tessuto ovarico È  fondamentale quindi che lo specialista oncologo stabilisca una comunicazione efficace con lo specialista in medicina della riproduzione per la definizione delle strategie di preservazione della fertilità e per la tempistica delle terapie oncologiche da praticare per sconfiggere il cancro.

Glossario

Referenze

  1. Linee guida AIOM 2016. Accessed July 2017