Il ruolo del caregiver nella malattia neoplastica

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Il caregiver, letteralmente “donatore di cure”, è colui che diviene l’assistente al malato designato nel momento in cui viene fatta la diagnosi di neoplasia e comincia, per esempio, la sua terapia per sconfiggere il cancro. Generalmente tale ruolo viene assunto da un familiare come marito/moglie, figli, fratelli/sorelle e per questo, nella maggioranza dei casi, viene definito “informale”, ovvero non adeguatamente formato al lavoro del “prendersi cura di”. 

La figura del caregiver familiare è chiamata a rispondere ai bisogni del paziente a diversi livelli quali quello sanitario, emotivo, finanziario e spirituale, nel corso di tutte le fasi della malattia.

Chi assumerà questo ruolo vivrà, inoltre, in modo profondo e coinvolgente tutte le emozioni che nelle varie fasi di evoluzione della malattia si verificheranno, alla stessa stregua del malato. Facciamo riferimento allo shock iniziale della diagnosi, alla rabbia, alla negazione, al rifiuto, alla disperazione fino ad arrivare al patteggiamento, al compromesso, all’accettazione e infine all’elaborazione.

La concordanza di vissuti emotivi porta il caregiver a dover espletare il compito implicito di fare da “filtro” rispetto a queste stesse emozioni nei confronti del malato al quale sarà spesso necessario rimandare contenuti e significati psicologicamente “accettabili” durante tutto il decorso della patologia e nel percorso per sconfiggere il cancro.

Un altro compito del caregiver sarà quello di fare da “ponte” tra il malato e l’equipe di cura. Il cambiamento determinato dalla diagnosi di tumore nella vita del paziente – il prima ed il dopo la malattia – può comportare nel malato disorganizzazione, confusione e disorientamento. E’ in questo momento che il caregiver diventerà punto di congiunzione, ponte, tra la vecchia quotidianità e le nuove priorità che la malattia ha imposto.

Altri compiti del caregiver sono:

  • ridurre al minimo i “rumori ambientali” e mantenere un’atmosfera tranquilla e serena
  • evitare di creare situazioni con troppi interlocutori
  • evitare di sostituirsi al malato nelle attività in cui è autonomo, spronandolo in quelle in cui lo è parzialmente
  • mettere il malato al centro della conversazione, guardarlo in faccia, rivolgersi a lui piuttosto che parlare solo con i presenti
  • incoraggiare la persona a “prendere la parola” e a esprimere pensieri e necessità
  • fare molta attenzione a come si usa il linguaggio non verbale, comunicare con frasi brevi e chiare, non interpretabili, spiegando anche più volte terapie, posologia e programmi giornalieri
  • infine, molto tempo, pazienza e cuore.

 

I fattori di rischio per il benessere psicofisico del caregiver sono il carico importante di responsabilità che il ruolo comporta: l'isolamento sociale, la scarsa conoscenza della malattia, la ridotta disponibilità nelle relazioni sociali, i sensi di colpa, la tensione e l'affaticamento nella relazione, la scarsa capacità di adattamento.

Sono fattori protettivi, invece, la presenza di un nucleo familiare, nonché di una rete sociale in grado di fornire aiuto sia sul piano pratico sia nella condivisione di responsabilità e di emozioni, una buona conoscenza della malattia e delle modalità di gestione più efficaci, la capacità di risolvere i problemi e la capacità di adattamento.Il caregiver costruisce passo dopo passo un’esperienza di assistenza non immune da ripercussioni a livello emotivo. Questa esperienza costituisce un forte fattore di stress, primario e secondario, interferendo con molti aspetti della vita quotidiana e inficiando spesso la qualità di vita da un punto di vista fisico, psicologico, sociale, lavorativo e finanziario.

Diversi studi hanno portato alla luce che il ruolo del caregiver, se non adeguatamente monitorato e sostenuto da personale professionale e specializzato, può condurre a depressione o a Disturbo Post Traumatico da Stress.

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